4° Catechesi "La Croce Gloriosa!" (Diac.G.B.)

24/3/2014 LA CROCE GLORIOSA

 

La quaresima è un itinerario verso la Pasqua, vertice dell’anno liturgico. La rivelazione di Gesù, sul monte Tabor apre uno  squarcio di luce. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e li conduce in disparte, su un alto monte; ed  ecco, apparire loro Mosè ed Elia, che conversano con lui. Una  nube li avvolge e una voce dall’alto proclama: «Questi è il mio figlio prediletto, l’amato: ascoltatelo!». Un’esperienza straordinaria, unica, per Gesù e per i suoi discepoli: è la  manifestazione di Dio, come già era accaduto sul Sinai e soprattutto presso il fiume Giordano nel  momento del battesimo di Gesù; una teofania misteriosa nella vicenda del popolo credente.

Ma la trasfigurazione si colloca tra due annunci di passione. I discepoli devono scendere dal monte e seguire Gesù. Quando il Maestro parla apertamente della sua andata a Gerusalemme «dove avrebbe sofferto molto», si scatena nei Dodici uno sconcerto. La reazione di fronte a quella prospettiva di croce li mette in crisi.  Prima della resurrezione gloriosa, c’è la via della croce, c’è la salita al calvario come totale e apparente fallimento della sua opera.

Ma non è questo lo sbocco ultimo e definitivo. Il traguardo finale è la vita nuova vittoriosa sulla morte, è la luce della risurrezione. E la trasfigurazione di Gesù sul Tabor prefigura il cammino che porta alla gioia della Pasqua, contemplando il  Signore risorto e pregustando con Lui, la nostra futura “trasfigurazione”.

L’esperienza del Tabor è un annuncio del nostro vero destino, un rilancio di quella speranza che resiste ad ogni sfida, anche alla morte. La luce che traspare dalla persona di Gesù è rivelazione della gloria che Dio vuole offrire a tutti noi.  Il percorso verso l’esperienza del Tabor consiste nell’ accoglienza della arola e di Gesù stesso nell’Eucaristia; si esprime nella preghiera quotidiana, nel sacramento della riconciliazione, negli atti di carità; quelle dimensioni salvifiche della vita cristiana che possono trasfigurare i nostri gesti, il nostro modo di pensare e di agire e rendere il nostro volto luminoso come luce che testimonia la risurrezione e diventa sale che dà sapore al mondo.

Il racconto della trasfigurazione di Gesù è situato in ciascuno dei tre vangeli sinottici in una posizione centrale (cf. Mc 9,2-10; Mt 17,1-9; Lc 9,28-36) ed è collocato in una sequenza assolutamente identica nei sinottici: confessione di Pietro (cf. Mc 8,27-30 e par.), primo annuncio della passione e delle condizioni per seguire Gesù (cf. Mc 8,31-38 e par.), trasfigurazione, secondo annuncio della passione (cf. Mc 9,30-32 e par.). Nell’intenzione dei sinottici l’evento della trasfigurazione deve essere letto e contemplato come un evento storico, realmente accaduto nella vita di Gesù, per dare una testimonianza che aiuti il lettore nel suo itinerario di fede pasquale. Pietro Giacomo e Giovanni «presi con sé» da Gesù, salgono con lui il Tabor: la montagna del Sinai e dell’Oreb, che sono un’unica montagna (cf. Es 3,1) salita e discesa da Mosè (cf. Es 19-34) e da Elia (cf. 1Re 19,1-18). Ed ecco che, mentre Gesù era in preghiera, «fu trasfigurato» ( Mc 9,2; Mt 17,2), una teofania come quelle raccontate nell’A.T. Quando si è operata la trasfigurazione di Gesù, in qualche modo «si sono aperti cieli» (cf. Mc 1,10 e par.) e sono apparsi Mosè ed Elia che si intrattenevano con Gesù (cf. Mc 9,4 e par.). Mosè il legislatore, dunque la Legge ed Elia, il prototipo dei profeti che sintetizzano tutte le Scritture di Israele, il Primo Testamento, in quel loro «parlare insieme»  (Mc 9,4 e par.) a Gesù mostrano che Gesù è il compimento autentico delle ScritturePietro, Giacomo e Giovanni «non sanno rispondere» a quell’evento, come nell’ora del Getsemani, e sono presi da spavento per la rivelazione di cui sono destinatari, lo stesso spavento provato dalle donne nell’alba di Pasqua (cf. Mc 16,5.8). Mentre Pietro sta parlando di piazzare 3 tende ecco arrivare «una nube che coprì tutti nella sua ombra, e dalla nube venne una voce: «Questi è il mio Figlio, l’amato, ascoltatelo!» (Mc 9,7). Questa è la risposta alle parole di Pietro: non tre tende fatte da mano d’uomo, ma una nube, la Shekinah di Dio. Ecco la realtà ultima e definitiva: non più una tenda, non più un Tempio, non più un Santo dei santi, ma la Shekinah, la Dimora-Presenza di Dio è in Gesù Cristo! Dirà Gesù alla samaritana: «Donna, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito (cioè nello Spirito santo) e nella Verità (che è Gesù Cristo)» (Gv 4,23). E dalla nube della Presenza di Dio si ode la voce del Padre, già ascoltata nel battesimo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11; Mt 3,17) e risuona l’invito: «Ascoltatelo!», che è l’eco dello Shema‘: «Ascolta, Israele…» (Dt 6,4). Ormai l’ascolto di Dio stesso è ascolto di Gesù, del Figlio, della Parola vivente di Dio! Mosè ed Elia, la Legge e i profeti, cedono il posto a Gesù dopo avergli reso testimonianza, perché ormai è lui che può dire in verità chi è Dio e renderlo buona notizia per tutti gli uomini.

L’evento della trasfigurazione è memoriale del battesimo e annuncio della croce, e la posizione centrale assegnatogli dagli evangelisti vuole proprio indicare questa sua qualità di compimento di ciò che è stato detto nel battesimo e di anticipazione di ciò che avverrà nella resurrezione e nella parusia.

 

E’ UN FAR TOCCARE CON MANO LA GLORIA E LA POTENZA CHE È IN LUI, PER RAFFORZARLI IN VISTA DEL MOMENTO DELLA SUA MORTE DI CROCE! PER FAR LORO ASSAPORARE E GUSTARE IL MISTERO DELLA CROCE GLORIOSA! CHE LA MORTE È VINTA, NON È LA FINE DI TUTTO, MA IL PASSAGGIO VERSO UNA RESURREZIONE E UNA TRASFIGURAZIONE, PER LUI E PER NOI! CHE SE MORIAMO CON LUI ANCHE NOI RISORGEREMO ALLA VITA IMMORTALE! CHE LA CROCE GLORIOSA DEL SIGNORE RISORTO È IL LETTO D’AMORE SUL QUALE CI HA SPOSATO IL SIGNORE, ALBERO DI VITA ETERNA, OSSATURA DELLA TERRA, PILASTRO DELL’UNIVERSO, LA SUA CIMA TOCCA IL CIELO E NELLE SUE BRACCIA APERTE BRILLA L’AMORE DI DIO!

 

La Gloria di Dio è l’uomo vivente, Gesù è venuto per portarci la vita eterna, la vittoria sulla morte perché sa che l’uomo, per paura della morte, è schiavo del signore della morte che è il peccato! Infatti dice Ebrei 2,14ss“Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, Egli pure vi ha similmente partecipato, per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita…”.  Dio ci ama,  ci vuole felici perché liberi, liberi dalla paura della morte, liberi di amare, liberi di fare il bene, liberi di perdere la vita perché con Lui la morte è vinta, ci da la vita eterna, vita che inizia qua e si protrae per l’eternità!

Se c'è un'immagine distorta di Dio capace di deformare il suo essere ed il suo agire con gli uomini, è l'idea del Dio che "manda" le croci: è infatti facile udire nel linguaggio di tutti i giorni frasi quali: "è la croce che il Signore ci ha dato". In queste espressioni, per "croce" si intendono le inevitabili tribolazioni che incontriamo nella vita.  Nel N.T. mai viene associata la figura della "croce" con la tribolazione dell'uomo. Della settantina di volte che nel NT si parla della croce, non si trova una sola espressione che la indichi come sofferenza che non è possibile evitare e che ogni uomo deve accettare e sopportare. Ma cosa si intendeva per "croce" nella cultura dell'epoca?

 

Inventata dai Persiani il supplizio della croce era usato come crudele tortura che dopo strazianti tormenti e una lenta dolorosissima agonia conduceva alla morte, che sopravveniva dopo 3 o perfino 7 giorni. L'infamante pena della crocifissione non era contemplata dal diritto penale giudaico come pena di morte. I 4 tipi di morte previsti dal diritto ebraico erano la lapidazione, il rogo, la decapitazione e lo strangolamento. Questo strumento di tortura venne chiamato dai romani "crux", ed era, da essi, considerato il mezzo più efficace per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, e adottato come deterrente per sottomettere gli schiavi ed ogni individuo pericoloso alla sicurezza del loro potere. Anche se era molto usato, le informazioni sulle modalità di esecuzione di questo supplizio rimasto in vigore fino a Costantino sono scarse. Cicerone - ricordando che a questo "crudelissimum taeterrimumque supplicium" non potevano venire condannati cittadini romani - ne rifiuta ogni illustrazione dicendo che "...la croce deve stare lontana non solo dal corpo dei cittadini romani, ma anche dai loro pensieri, dai loro occhi, dai loro orecchi". Il condannato, dopo esser stato flagellato, veniva legato saldamente al legno orizzontale (patibulum), e condotto verso il luogo dell'esecuzione - normalmente posto fuori delle mura della città - portando appesa al collo una tavoletta con scritto la motivazione della sentenza che veniva poi fissata sul palo verticale la cui altezza era poco più di quella di un uomo. Solo quando si voleva lasciare esposto il torturato alla vista di tutti, come macabro monito, si usavano pali più lunghi. A metà di questo palo un piccolo appoggio in legno sosteneva il condannato impedendogli così una morte più veloce e garantendo una lenta agonia. Poi il condannato veniva denudato, nuovamente flagellato, ed issato al palo. La maniera di fissare il trave trasversale sul palo verticale variava sempre e non si conosce l'esatta forma della "croce": quando questa assumeva la forma di "T" si chiamava "crux commissa"; la "crux immissa" aveva la forma del segno "+" . La morte sopravveniva per sfinimento o asfissia. Il cadavere veniva lasciato putrefare sulla croce rimanendo in balia degli uccelli rapaci e dei divoratori di carogne. Le sofferenze fisiche e morali dei crocifissi, destinati a morire dopo questa straziante tortura, sono inimmaginabili. All'epoca di Gesù questa morte veniva considerata dai giudei come la più ripugnante, ed è proprio all'orrore per questa condanna che veniva inflitta esclusivamente ai rifiuti della società, ai "maledetti da Dio" (Dt 21,22-23) che Gesù si riferisce con il suo invito a "prendere su di sè la croce".

 

L'invito a sottomettersi volontariamente al supplizio della "croce" - completamente assente nell' AT e nella letteratura ebraica è nel NT strettamente legato alla sequela di Gesù, sempre proposto e mai imposto. Nei vangeli questo invito appare solo 5 volte (Mt 10,38; 16,24 - Lc 9,23; 14,27, - Mc 8,34). In tutti questi brani gli evangelisti stanno molto attenti a non usare verbi come "portare" [gr. pherô], "accogliere" "accettare" [gr. dechomai] la croce, termini che indicherebbero un atteggiamento passivo dell'uomo al quale non rimarrebbe che accettare quanto Dio ha stabilito. Gli evangelisti usano i verbi "prendere" [gr. lambanô] e "sollevare" [gr. airô], sottolineando con questo il preciso momento in cui il condannato afferra con le proprie mani lo strumento della propria morte. Mai Gesù propone - e tantomeno impone - la "croce" a qualcuno fuori del suo gruppo, L'unica volta in cui questo invito è rivolto alla "gente" è proprio per chiarire le condizioni del discepolato "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" [Lc 9,23] .  La croce diviene un passaggio inevitabile ed indispensabile per ogni credente che voglia seguire Gesù nel cammino della verità verso la libertà (cf Gv 8,32) che deriva dalla vittoria sulla morte e quindi sulla paura della morte. Fintanto che esiste questa paura l’uomo non è libero di fronte a quanti lo possono minacciare. ALLORA LA CROCE, CHE GRAVA SU TUTTA L'UMANITÀ, PER GESÙ È LA POSSIBILITÀ DI RENDERE VISIBILE L'AMORE DEL PADRE AL MONDO: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16).  La comprensione del significato della croce nella vita del credente è espressa da Gv con la figura di Maria, autentica discepola del suo Messia.   L'evangelista sottolinea che Maria è in piedi [gr. heistêkeisan] presso la croce di Gesù: non è giunta lì travolta dai tragici eventi ma è liberamente e volontariamente presente. Gv non presenta una madre oppressa dal dolore, che comunque sta vicina al figlio anche se questo è condannato come un criminale, ma la coraggiosa discepola che ha scelto di seguire il maestro a rischio della propria vita, mentre gli apostoli, che avevano giurato di esser pronti a morire per lui, sono vigliaccamente fuggiti. L’evangelista non scrive che Maria sta "sotto" [gr. upo], ma "presso" [gr. parà] la croce. Mentre la 1° espressione avrebbe sottolineato il senso di oppressione proprio di chi non ha altra alternativa se non la passiva accettazione dell'evento, la 2° indica la volontarietà e la prossimità di Maria alla croce. Non deve esser stato facile per Maria. Per schierarsi col crocifisso si è messa contro la propria famiglia che, oltre a non avere alcuna fiducia in Gesù, lo considerava pazzo (cf Mc 3,20; 6,4; Gv 7,5); ha dovuto rompere con la religione che  aveva scomunicato Gesù (cf Mt 26,65; Mc 3,22); ed infine, scegliendo il condannato (cf Mt 27), ha osato pure mettersi contro il potere civile che giustiziava quel galileo come pericoloso rivoluzionario (cf Mt 27,38).

 

Nel vangelo di Mc troviamo una stretta relazione tra il tema del "battesimo" e quello della "croce". A Giacomo e Giovanni che volevano assicurarsi posti onorifici nel Regno, Gesù offre la croce come unico trono sul quale si è certi di essergli vicino e per farlo parla di "battesimo": "Potete... ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?... il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete..." (Mc 10,38-39) Questa tematica battesimo-croce è per Mc talmente importante che vi allude fin dall'inizio del suo vangelo. [1,9] "In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni". "Battezzare" [gr. baptizô] significa mettere qualcuno o qualcosa sotto l'acqua con la conseguente distruzione e morte. L'individuo che si immerge completamente nell'acqua vuole con quest'azione significare la "morte" simbolica di quel che era stato, del proprio passato, ed emergendo, la rinascita a una nuova vita. Ma perché Gesù va a ricevere il battesimo da Giovanni? Anche per Gesù il battesimo conserverà il significato di morte, ma - per lui che è senza peccato e viene a salvare il suo popolo dai peccati  - non sarà segno di morte al proprio passato, ma l'accettazione della morte nel futuro: ecco il significato del suo battesimo, e questo Mc lo esprime impiegando gli stessi termini nella descrizione del battesimo e della crocifissione di Gesù.

 

[1.10a] E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli. Per illustrare questo Marco impiega il verbo "lacerare/squarciare" [gr. schizô] che indica l'impossibilità di ricomposizione. La comunicazione tra Dio e il suo popolo, interrotta a causa dell'infedeltà di Israele, è ora definitivamente ripristinata, e il cielo (Dio) resta aperto, assicurando un'ininterrotta comunicazione tra Dio e l'umanità grazie a Gesù, manifestazione visibile dell'amore del Padre. Lo stesso verbo "squarciare" [gr. schizô] lo incontriamo nella scena che descrive la morte di Gesù: [15.38] Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso. Nel Tempio di Gerusalemme, l'ingresso al Santo dei Santi, là dove si riteneva presente la Gloria di Dio, era protetto da un' enorme cortina che celava la Presenza di Dio. Al momento della morte di Gesù questo velo si squarcia: Dio non è più nascosto in un Tempio ma visibile nel crocifisso. Il vero santuario dove si manifesta la gloria di Dio non è più il Tempio, ma Gesù, e nella croce ha luogo la definitiva teofania nella quale il Padre si rivela agli uomini per sempre.

 

[1,10b] e lo Spirito discendere su di lui come una colomba "Spirito" è una traduzione dell'ebraico "ruach" (vento, respiro, vita) termine col quale nell'ebraismo si indicava la forza vitale e creatrice di Dio. L'immagine della colomba allude primariamente allo "Spirito di Dio" che "aleggiava sopra le acque" (Gen 1,2) all'inizio della creazione: quello che discende sul Messia è lo Spirito creatore. Con questa immagine l'evangelista vuole indicare che in Gesù la creazione raggiunge la sua pienezza. Il termine greco pneuma (spirito) viene impiegato dall'evangelista nel verbo usato per descrivere la morte di Gesù: [15.37] Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Gli evangelisti che non intendono trasmettere una mera rievocazione storica della morte di Gesù, ma annunziarne il profondo significato, nella scena della crocifissione, evitano di usare il verbo "morire" per descriverne la fine. In nessuno dei quattro vangeli troviamo infatti scritto che Gesù "morì".

Mt e Gv indicano la fine di Gesù con i verbi "lasciare - consegnare" lo spirito, Mc e Lc usano il verbo  "èkpnéô" col significato di "perire" che non si trova in nessun scritto greco per indicare la morte di una persona.

Per gli evangelisti, la morte in croce di Gesù anziché essere fattore di distruzione è fonte di vita. Lo Spirito di Dio, quella forza vitale proveniente dal Padre, che Gesù ha ricevuto in pienezza al momento del battesimo, viene ora comunicato a quanti l'accoglieranno come modello di vita, accettazione che include in se stessa la disponibilità ad affrontare la morte per essere fedeli testimoni dell'amore del Padre.

 

[1.11] E si sentì una "voce"  [gr. phônê] dal cielo con cui Dio stesso ("cielo") conferma con la sua parola l'investitura del suo Unto. Lo stesso vocabolo usato da Marco per "voce" [gr. phônè], lo ritroviamo nella scena della croce: [15.34] Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ma Gesù, dando un forte grido [gr. phônên], spirò. Gesù prima di morire emette un ultimo potente grido che ha il significato di un grido di vittoria, annuncia la definitiva sconfitta della morte con il dono di una vita indistruttibile. Infine il contenuto di questa voce: 'Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto'. Dio dichiara che Gesù, come suo figlio, ha natura divina, è il suo unico erede ed è il suo Unto, l'inviato per realizzare il Regno di Dio. Questa figliolanza divina di Gesù la viene riconosciuta anche da un pagano, il centurione che vistolo spirare in quel modo, disse: 'Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!

 

Unendo i due temi battesimo-croce, l'evangelista sottolinea che non può esserci adesione a Gesù (battesimo) senza accettazione della sua morte (croce), come verrà espresso da Paolo nella lettera ai Romani: "O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione" (Rom 6,3-5).

 

LO SO, LA MORTE DI CROCE TI SCONCERTA, TI ATTERRISCE! SENTI UNA VOCE CHE DICE, NON SEI IL FIGLIO DI DIO? DOVE E’ TUO PADRE? NON ESISTE OPPURE E’ UN MOSTRO! SE ESISTE CHE TI TOLGA QUELLA SCOMODITA’, CHE TRASFORMI QUELLA PIETRA IN PANE! OPPURE COME PUO’ DIO PERMETTERE QUESTA STORIA? QUESTA CROCE? SE E’ TUO PADRE, UN PADRE CHE TI AMA, RIBELLATI, COSTRINGILO A FARTI UN MIRACOLO!

 

MA GESU’ TI DICE, GUARDAMI IN CROCE EVEDRAI MIO PADRE, CHE TI AMA. GESU’ CROCIFISSO MOSTRA LE SUE PIAGHE A DIO INTERCEDENDO PER TE E MOSTRA IL SUO VOLTO GLORIOSO A TE DICENDOTI: NON AVERE PAURA, UNISCITI A ME E SPERIMENTERAI LA VITTORIA SULLA MORTE!

 

I Padri interpreteranno la Croce del Signore con una simbologia che parla di gloria e di speranza, come l’immagine suggerita da Leone Magno: “Gesù prende una croce che era usata come punizione e la trasforma in un gradino che porta alla gloria”; o di Girolamo: “E’ la Croce che apre la chiave del Paradiso”.

Paolo scrisse ai cristiani di Corinto: “Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 22).

(è eloquente il “graffito del Palatino” datato III sec, scoperto a Roma nel 1857, nel quale vi è: il corpo di un uomo crocifisso, con la testa di un asino; un uomo in adorazione e infine la scritta in greco “Alessamèno adora il suo dio”). 

Meraviglia perciò che nei Vangeli, scritti per testimoniare ai giudei e ai pagani che Gesù di Nazaret è il Messia, la sua sofferenza e morte in croce abbiano un posto così preminente. Essi ruotano infatti attorno alla crocifissione del Signore, presupposto per annunciare la sua risurrezione.

Un racconto nel quale emergono principalmente due tendenze. Quella storica, tesa a confermare la veridicità dei fatti (è accaduto davvero così!) e quella teologica che cercava invece il significato profondo di ciò che era accaduto: come poteva essere successo a Gesù quel tragico evento? E per quale motivo? Gli evangelisti hanno risposto a questi interrogativi leggendo quei fatti alla luce della risurrezione e con la grazia dello Spirito Santo, primo dono del Signore glorificato. Così vi hanno potuto vedere il compimento delle antiche profezie. È da questa intuizione che nasce il kerygma, cioè l’annuncio fondamentale del cristianesimo, senza il quale – come si esprime Paolo – vuota è la predicazione e vuota è anche la fede (1 Cor 15, 14).

Ne abbiamo non poche testimonianze nel libro degli Atti iniziando dall’annuncio di Pietro il giorno di Pentecoste: “Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret … consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere” (2, 22 – 24). E, più avanti: “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore (Jhwh) e Cristo (Messia) quel Gesù che voi avete crocifisso”.

 

 

“SAPPIATE DUNQUE CON CERTEZZA ANCHE VOI, CHE MI ASCOLTATE, NUOVO ISRAELE, CHE   DIO HA COSTITUITO SIGNORE (JHWH) E CRISTO (MESSIA) QUEL GESÙ CHE SPESSO CONTINUIAMO A CROCIFIGGERE CON I NOSTRI DUBBI, MORMORAZIONI E PECCATI. MA LUI CI PERDONA E VUOLE DARCI LA VITTORIA SULLA MORTE E LA VITA ETERNA!

 

 

CHE COSA DOBBIAMO FARE? CONVERTIAMOCI E CREDIAMO AL VANGELO!