ANIMA

Etimologicamente il termine anima deriva dal greco ànemos che significa vento. Tradotto nella Bibbia, dall’ebraico al greco, con psychè: letteralmente vento, respiro, soffio vitale e anche “spirito”.

Anima e certo un concetto religioso ma è anche antropologico e il significato cambia moltissimo nelle varie religioni e culture. Concetto ricco ma contemporaneamente vago, inafferrabile, come l’acqua o il vento, difficilmente definibile, ma diverso anche negli individui di gruppi apparentemente omogenei. In generale, nel sentire comune, è la parte spirituale dell'uomo, qualcosa che ha a che fare con l'immortalità, senza confini definiti con altri aspetti umani non biologici come spirito, interiorità, sostanza spirituale, coscienza, animo, l’essere intimo, la persona, l’individualità, la vita, insieme con l’intelligenza, il pensiero, la ragione, il cuore, la memoria, l’intelligenza, l’esperienza, la percezione: insomma tutto ciò che non è strettamente materia. Parola dai mille volti, una terra senza frontiere, un oceano sconfinato, tra fede, religione, teologia, filosofia e, dato recente, anche scienza. Cartesio diceva infatti che la sede dell'anima è nella ghiandola cerebrale chiamata pineale, mentre alcuni neurofisiologi moderni arrivano ad identificarla con il sistema neuronale.

Gianfranco Ravasi in “Breve storia dell’anima” ha una bellissima immagine quando parla del suo viaggio alla ricerca del significato di anima: un fiume che nasce da piu sorgenti, che si dipana con un lento cammino serpentiforme e sbocca nel mare con un grande delta.

Carlo Maria Martini, nella lettera scritta a Vito Mancuso, da Gerusalemme nel 2006 e pubblicata all’inizio del libro ”L’anima e il suo destino”, dice: “Carissimo Vito, hai avuto un bel coraggio a scrivere dell’anima, la cosa più eterea, più imprendibile che ci sia, tanto che si giunge a dubitare che essa esista”.

Tra le varie definizioni di autorevoli dizionari riporto quella del Dizionario Italiano Ragionato, G. D'Anna - Sintesi: "Essenza o principio vitale, elemento che infonde la vita, che sorregge e realizza la vita di un organismo. Come tale è propria non solo dell'uomo ma di tutti gli esseri che vivono: e infatti in Aristotele si distingue l'anima intellettiva (che sente, intende e vuole), immortale, propria solo dell'uomo, dall'anima sensitiva, comune all'uomo e agli animali, dall'anima vegetativa, propria anche delle piante". Molto interessante è anche il significato secondario della parola, usata per indicare: sostegno, telaio, intelaiatura, struttura, ossatura eccetera.

Dice Carlo Molari: “Il termine anima è uno dei piu comuni nelle lingue umane, anche se il suo significato è molto vario e a volte indeterminato” (…) “Il termine anima può servire per indicare la realtà umana nella forma compiuta di vita alla quale è chiamata dopo la morte, ma resta un termine ambiguo quando designa una realtà spirituale in contrapposizione al corpo”. (…) “Ė forse meglio parlare della triplice dimensione dell’uomo: corporale, psichica e spirituale”.

Scrive Gianfranco Ravasi: “Tuttavia la diversità tra anima e corpo non legittima nessuna incrinatura dell’unità anima-corpo: la vera unica sostanza è quella dell’uomo in sè, sostanza costituita appunto dai due (diversi ma uniti) principi fondamentali dell’anima e del corpo. La stessa anima, osserva Tommaso, senza il corpo sarebbe come una mano recisa da un organismo vivente e in se non sarebbe persona. La stessa immortalità dell’anima, ossia la sua sopravvivenza oltre la morte, è intesa dal Dottore della Chiesa non come una permanenza del tutto autonoma: l’anima mantiene sempre una relazione trascendentale, cioè un legame metafisico, con la materia-corpo di cui era stata la “forma”, in attesa di ricomporre in pieno l’unita ferita dalla morte. E’ per tale via che si recupera la dottrina cristiana della nostra resurrezione finale, dopo lo stato intermedio delle anime, seguito alla morte. Questo fa capire come, anche nel caso estremo della morte, in Tommaso l’esaltazione dell’anima non avvenga mai a scapito del corpo”.

Molto interessante può essere la lettura della voce “anima” dell'Enciclopedia di Repubblica, redatta da Carlo Collo: “Fino all'inizio di questo secolo cattolici e protestanti ritenevano, quasi all'unanimità, che la presenza nell'uomo di un'anima spirituale e immortale costituisse un dato irrinunciabile della fede cristiana. Successivamente la scoperta del modo diverso di concepire l'uomo nella cultura ebraica e il rigetto del dualismo platonico e di quello cartesiano nelle antropologie moderne hanno indotto prima i protestanti e poi i cattolici a riesaminare il concetto di anima e a domandarsi se non lo si possa, o addirittura non lo si debba, abbandonare perchè estraneo e contrario alla concezione biblica, e improponibile all'uomo d'oggi. La concezione dell'uomo presente nella Bibbia non è dualistica bensi sintetica e descrittiva: l'uomo è visto come unità vivente. Il termine ebraico nefesh, impropriamente tradotto con “anima”, indica l'intero uomo in quanto dotato di respiro vitale e quindi vivente e animato dallo spirito di Dio. Il Nuovo Testamento si attiene per lo piu all'uso linguistico dell'Antico Testamento, intendendo l'anima (psychè) come vita e forza vitale senza contrapporla al corpo. La distinzione tra anima e corpo penetrò nel pensiero cristiano attraverso i Padri della Chiesa ma subì radicali correzioni: l'anima non è divina per natura e non preesiste al corpo ma è creata, insieme al corpo, da Dio. Una vigorosa riaffermazione dell'unità dell'uomo si ebbe con Tommaso d'Aquino. Aderendo all'antropologia aristotelica intese l'anima come forma corporis unita sostanzialmente al corpo, trascendente la materia ma essenzialmente correlata ad essa. Questa prospettiva fortemente unitaria si riflette nel concilio di Vienne (1311) e nel Lateranense V (1513). Il concilio Vaticano II fece un uso discreto e riservato del termine anima, preferendogli quello di persona piu idoneo ad esprimere l'unità dell'uomo e a rivalutarne il corpo. Oggi la teologia si orienta ad evitare sia la sopravvalutazione sia la svalutazione della nozione anima. Il cristianesimo non si identifica con alcuna antropologia particolare pur dovendo servirsene, ma neppure le considera tutte ugualmente capaci di esprimere la realtà dell'uomo e la sua vocazione alla salvezza. Il binomio anima-corpo non è di per se insostituibile. Per intanto, se rettamente inteso come dualità senza dualismi, e l'anima anziche essere immaginata come una cosa accanto al corpo, viene concepita come principio interno che condiziona l'unità e la totalità dell'uomo (E. Coreth), c'è da pensare che esso non sia poi così inaccettabile e che costituisca per ora la rappresentazione piu idonea a tradurre la ricca e complessa realtà dell'uomo e la sua capacita di aprirsi alla sorprendente vocazione a cui Dio lo chiama”.

Nella Bibbia ebraica si trovano termini diversi utili per comprendere il concetto di persona. Questi termini sono: Ruah, Nefesh (e Nefesh hajjah), Nishamat (e Nisham athajjim ).

1) Ruah (Pneuma in greco e Spiritus in latino) è la fonte della vita di uomini e animali, il principio vitale, un’indispensabile energia vitale che sostiene la Nefesh. Nella Bibbia è scritto: - Giobbe 33,4: “Lo spirito di Dio (Ruah) mi ha creato e il soffio (Nishmat) dell’Onnipotente mi fa vivere”. - Salmo 104,30-31: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro (Nefesh): muoiono, e ritornano nella polvere. Mandi il tuo spirito (Ruah), sono creati, e rinnovi la faccia della terra”.

2) Nefesh e un termine dai moltissimi significati: gola, palato, trachea, collo, soffio, alito, respiro. Inoltre fame, nutrimento, vitto, sostentamento, appetito, desiderio, brama. Ma anche anima, essere vivente e, infine, persona come individuo. Dire anima per indicare un individuo, è noto, si usa nella lingua corrente quando si dice “un paese di mille anime” oppure com’e usato in Luca 1,46: “Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore»; oppure in Marco 14,34: “La mia anima è triste fino alla morte”: ossia “io” o “la mia persona”. Nefesh e percio l'essere vivente, ogni essere vivente, ossia chi ha in se il principio vitale (Ruah), la cui mancanza provoca la morte. Per dire un essere vivente nella sua completezza, fatto di soma e psychè, la Bibbia usa il termine Nefesh hajjah. E scritto in Genesi 2,7: “Il Signore Dio (Eloim) plasmò l’uomo (adam) con la polvere della terra (adamah), soffiò nelle sue narici un alito di vita (una Nishm athajjim) e l’uomo (adam) divenne un essere vivente (Nefesh hajjah)”.  "Nel mondo ebraico si parla di “nefesh”, nella traduzione greca si parla di “psychè”, ma psychè non è l’anima come intendiamo noi, ma è la consapevolezza esistenziale, lo spirito vitale, per il quale noi viviamo e, quando viene meno, cessiamo di vivere" (Salvatore Frigerio). Illuminante e il versetto 28 del capitolo 10 di Matteo: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo  (soma), ma non hanno potere di uccidere l’anima (psychè, e la vita, la consapevolezza di se) abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo”, ossia distruggere tutto l’essere, l’intera persona nell’immondezzaio di Gerusalemme.

3) Nefesh hajjah indica allora “l’essere vivente” completo di soma e di psychè.

4) Nishamat e uno spirito che è proprio di Dio ed e comunicato all'uomo creato.

5) Nisham athajjim tradotto con alito di vita, è la coscienza vitale, la consapevolezza di sè, la capacità di distinguere e scegliere tra bene e male.

Nella cultura ebraica arcaica l'uomo che muore, muore completamente, scende nel mondo sotterraneo dei morti (sheòl), il luogo della non vita, dell’assenza di Dio, dove sopravvive una larva di uomo. Ma gia fin dal tempo dei Maccabei (II secolo a. C.) si fa strada l'idea che i giusti che hanno subito torti, persecuzioni o martirio, sopravvivranno per opera e volonta di Dio, risuscitando.

La filosofia greca (Socrate, Platone e Aristotele) - con la sua visione dualistica dell'uomo: anima e corpo, materia e spirito, aspirazioni superiori ed inferiori, istintività e spiritualitè - è alla base della cultura occidentale.

Platone (nel Fedone, il testo che racconta le ultime ora di Socrate) fa parlare Socrate, che per primo chiama psychè la coscienza intellettuale e morale dell'uomo, cioè la sua capacita di intendere e volere il bene, contrapponendola al soma mortale, il corpo in cui è rinchiusa, preesistente ad esso, immortale, appartenente al mondo delle idee, opposta per natura alla mutabilità e caducità della materia. E’ cio che fa superare la morte alla creatura umana perche l'anima si libera ascendendo al cielo, liberandosi dalla materia. Gran parte della cultura occidentale è figlia dell’eredità platonica del dualismo di un corpo (materia, prigione) e di un'anima prigioniera da liberare. Occorre inoltre ricordare che il concetto di “inferno, paradiso e purgatorio” sembra preso di sana pianta dal filosofo Fedone, allievo di Socrate. Platone poi è anche il padre della metempsicosi per cui l’anima immortale, reincarnandosi, espia una colpa originaria in attesa di ritornare al mondo delle idee in uno stato di eterna ed immutabile beatitudine, nella pura contemplazione della verità.

Aristotele, discepolo di Platone, teorizza un'anima vegetativa, una sensitiva ed una intellettiva (razionale, pensante detta nous) che è l'unica delle tre ad essere immortale. “Con il modello platonico di anima spirituale era facile definire l’immortalità e l’abbiamo visto con il Fedone, il dialogo del filosofo ateniese dedicato proprio al destino ultimo dell’anima: con la morte l’anima spazzava finalmente le catene del corpo, ne abbandonava la spoglia e volava verso la luce e la libertà della trascendenza celeste. Non per nulla la stessa antica predicazione ecclesiale amava seguire questo modello spiritualista e, come vedremo, la visione immortalistico-spirituale e ancora inchiodata, nel comune sentire cristiano, a quella concezione” (Gianfranco Ravasi).

Dice Paolo De Benedetti: "Il concetto di anima immortale è un concetto greco, platonico che implica anche un dualismo anima-corpo che non è biblico, non è ebraico, quindi non deve essere neanche cristiano". Il dualismo contrapposto anima-corpo proprio della filosofia greca non trova riscontro nella teologia cristiana (ed ebraica) che e radicalmente antiplatonica. Basti ricordare che la dottrina gnostica, con il suo disprezzo della corporeita (accettando o rifiutando ascetismo estremo o completa indulgenza), il rifiuto della resurrezione dei morti e l'affermazione dell'immortalita dell'anima che si realizza ascendendo al cielo, liberandosi dalla materia, è stata ferocemente combattuta come un'eresia, ma è purtroppo una china sulla quale si tende, talora consapevolmente, a scivolare.

Per la fede ebraico cristiana soma, pneuma, psychè sono un’unità inscindibile, per cui si diventa tanto più “persona” quanto più queste componenti sono in armonia tra loro. Allora “Ė forse meglio parlare della triplice dimensione dell’uomo: corporale, psichica e spirituale” (Carlo Molari).

Fin dall'origine, e anche prima della nascita del cristianesimo, essa (la cultura occidentale) ha sempre avuto una inclinazione al dualismo, cioe ad opporre l'anima e il corpo, lo spirito e la materia, di cercare la salvezza nel rigetto del mondo materiale, considerato come forzatamente perverso≫ (…) ≪Nel cuore stesso del cristianesimo si trova un rigetto radicale del dualismo. Nessuna altra religione accorda altrettanta importanza al corpo. I cristiani sostengono che Dio ha preso carne in modo pienamente umano, che è nato da donna come ogni bambino. Il centro della liturgia cristiana è la condivisione del suo corpo. Il cuore di questa fede è la sua Risurrezione. Il cristianesimo in se stesso è profondamente antidualista. Certo il cristianesimo nasce da una tomba vuota, con l'assenza di un corpo. Ma quasi subito questo corpo riprende il suo posto alla tavola dei discepoli, nel cammino di Emmaus, fa valere le sue prerogative realmente umane e chiede verifica delle proprie ferite all'incredulita di Tommaso (Giancarlo Zizola).

La primitiva comunità cristiana credeva che Gesù non risuscitava i morti, ma comunicava ai vivi che gli davano adesione (“chi crede in me”), una qualità di vita che è detta eterna, non perche dura per sempre ma perchè è capace di superare la fine della vita biologica. Dice Paolo in Colossesi 2,12: "Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete stati insieme risuscitati". … "Se dunque siete risorti … ". Nel testo apocrifo di Filippo, viene attribuita a Gesù la frase: "Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, morendo non si risuscita più".

E’ lo Spirito effuso da Gesu sulla croce che permette di superare la morte, lo Spirito dà la vita indistruttibile. "Chi vive e crede in me non morirà mai" dice Gesu a Marta. Non contrappone vita e morte ma nascita e morte, entrambe espressioni della vita. Ripete Alberto Maggi: “Non si muore mai, ma si nasce due volte e la seconda e per sempre”. Scrive Gianfranco Ravasi: “La teologia fiorita dopo il concilio Vaticano II, pur non ignorando questo forte accento della tradizione sull’immortalità dell’anima, ha cercato di relativizzare in modo piu marcato l’unità – anch’essa tradizionale, come si è visto – della persona umana e di comporla con l’annunzio prettamente cristiano della resurrezione” (…) “Riguarda al tema specifico dell’immortalità gloriosa intermedia dell’anima prima della resurrezione finale, il famoso teologo tedesco Karl Rahner (1904-1984) avanzava un’obiezione di immediato impatto: Perchè mai un defunto, ormai beato, dovrebbe interessarsi tanto della venuta di Cristo e del giudizio ultimo e della risurrezione finale, se è gia presso di lui e presso Dio nella felicita eterna? Già Lutero ironizzava cosi:Dev’essere un’anima insensata quella che, se fosse in cielo, bramerebbe il corpo! E un po’ per queste ovvie considerazioni che spesso, come si e detto, sia a livello popolare sia in ambito colto si preferisce ripiegare sull’immortalità dell’anima ponendola al centro della fede e della speranza, accantonando o mettendo la sordina sulla pur netta e capitale proclamazione della risurrezione proposta dai testi biblici. Al contrario altri spostano tutto l’accento sulla risurrezione finale, considerata una ri-creazione di ogni creatura umana, nella consapevolezza che ciò che è oltre il tempo e lo spazio, ossia l’eternità, non ha durate intermedie (concetto ovviamente legato al tempo che ha un prima e un poi) ma è istantaneo. In quella sorta di punto che è l’eternità si condensa tutto ciò che è oltre la morte, oltre la frontiera del nostro tempo. A questa considerazione si deve aggiungere un rilievo già emerso durante la nostra ricerca sulle sorgenti bibliche della dottrina dell’anima: l’idea dell’oltrevita beato ebraico-cristiano non è identificabile con l’immortalita platonica, concepita esclusivamente come una permanenza senza fine nell’essere. L’aldilà biblico è, invece, un ingresso nell’intimità divina, una comunione filiale fra il giusto e il suo Signore, e una contemplazione faccia a faccia di Dio, un dialogo d’amore, secondo le parole di san Giovanni nella sua prima lettera (3,2): Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato, sappiamo, però, che quando egli sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

La visione ebraico cristiana dell'uomo (il cardine è la non dualita anima-corpo) si contrappone nettamente alla visione greca, già nei primi due secoli di vita della Chiesa, e la discriminazione è il credere nella resurrezione dei morti (la persona nella sua totalita) e non nell'immortalita dell’anima. L’anima non sopravvive alla persona, ma l’intera persona continua la sua esistenza in Dio: “ la vita non è tolta ma trasformata” è scritto nel prefazio della Messa dei defunti, perchè la trasformazione avviene già in questa vita. Quando poi la parte biologica muore e si disfa, la persona continua a vivere in Dio.

Il Catechismo degli adulti della CEI (“La verita vi fara liberi”) in riferimento alla continuità della vita scrive con chiarezza (1195): Possiamo concludere che dopo la morte sopravvive l’io personale, dotato di coscienza e volontà. Se si vuole chiamarlo anima, basta intendere questa parola in maniera biblica. Ma poi aggiunge che la persona (l’io personale) dopo la morte “perde il corpo, cioè l’insieme dei suoi rapporti sensibili con il mondo naturale e umano, ma continua a sussistere nella sua singolarità, in attesa di raggiungere la completa perfezione, al termine della storia, con la resurrezione”.

Ossia la persona, formata di sola anima, è imperfetta e diventerà perfetta alla fine del mondo, quando ci sarà la resurrezione della carne e le due componenti si ricongiungeranno. Solo per me queste affermazioni si contraddicono? Oppure il dualismo, cacciato dalla porta rientra dalla finestra? Tollerato, per non dire accettato da molti.

Altro punto interessante da considerare è che i cosiddetti “miracoli” di Gesù sono, nel contempo, una guarigione materiale ma anche e spirituale. E’ sempre la persona tutta intera che viene salvata, cioe liberata da ciò che gli impedisce di essere completamente “persona”. Tutto l’uomo viene liberato da ciò che gli impedisce di essere libero.

A complicare le cose per noi, c’e anche, nella traduzione CEI dei vangeli, dell’uso diversificato del termine psychè, tale da creare confusione. P. es. in Matteo 10,28: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo ” dove si parla di morte del corpo ma anche dell’anima. In alcuni brani paralleli dei quattro vangeli, lo stesso termine vita assume significati diversi perchè la vita che si vuol salvare (biologica) non è la stessa che si perderà (la vita eterna), ma il termine usato è sempre psyché.

- (Matteo 16,25-26): “Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perda la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?”.

- (Marco 8,35-37): “Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? ”.

- (Luca 9,24-25). “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?. Dove “se stesso” indica la persona nella sua interezza, ma non dice psyché.

- “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Giovanni 12,25). Dove vita eterna è zoè aion. Mentre in Luca 8,55 “vita” è la traduzione del termine greco pneuma, spirito. Parole poco chiare, almeno a me.

In Luca 1,46 l’espressione “L’anima mia significa il Signore” chiaramente indica “Io magnifico il Signore”.

Lo stesso in Marco 14,34 le parole di Gesù nel Getsemani: “La mia anima è triste fino alla morte”. Poi c’è Luca 12,19-20 dove in due versetti ci sono due modalità di traduzione dello stesso termine: “Poi dirò a me stesso (psyché): Anima (psyché) mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita (psyché). E quello che hai preparato di chi sarà?”. L’anima (secondo il significato che ognuno puo dare a questa parola) si perde se si rifiuta la “vita” continuamente offerta da Dio.

A mio modesto avviso la differenza tra il Credo Apostolico (inizi del II secolo) e il Credo nicenocostantinopolitano del 381, stà nell’uso del termine di “resurrezione della carne” nel primo e di “resurrezione dei morti” nel secondo, dove scompare una rottura di continuità, come dice Paolo in 1Corinzi 15,42-44: “Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale”.

La persona che si apre all'irruzione dello Spirito divino, trasfigura la povertà della condizione umana perché lo Spirito del Risorto la introduce nella gloria e nell'eternità.